domenica 19 febbraio 2012

L'unica vera crisi: la sesta estinzione di massa


In questi ultimi anni, l'opinione pubblica è monopolizzata dalla crisi petrolifera e dalla crisi finanziaria, che mettono in serio pericolo la stabilità economica di individui, famiglie e nazioni intere. Queste preoccupazioni mascherano un problema incommensurabilmente più grave che minaccia l'esistenza dell'umanità intera: la sesta estinzione di massa.

L'evoluzione della vita sulla terra è stata costellata fin dall'inizio (circa 4 miliardi di anni fa) da eventi di estinzione di massa. Cinque di questi eventi (chiamati i Big Five) furono particolarmente catastrofici e spazzarono via ogni volta la maggior parte delle specie esistenti. Quando pensiamo alle estinzioni di massa ci viene in mente il meteorite che avrebbe (il condizionale è d'obbligo) fatto estinguere i dinosauri, e immaginiamo che si tratti di eventi repentini e circoscritti. Non è proprio così: queste estinzioni eccezionali avvengono lentamente nell'arco di milioni di anni. Tant'è vero che, se noi ci trovassimo in un periodo di estinzione di massa, avremmo difficoltà a rendercene conto. Ma qui il condizionale posso anche toglierlo poiché è esattamente quello che sta accadendo: l'umanità preferisce adottare la “strategia dello struzzo” piuttosto che ammettere di essere nel bel mezzo della “sesta estinzione di massa”. L'incoscienza e la cecità dell'uomo di fronte al destino che lo aspetta è ancor più vergognosa se si considera che questa estinzione  di massa è considerata la più grande e la più veloce di tutte le estinzioni di massa avvenute nella storia della vita sulla Terra.

A questo punto state pensando che io stia esagerando per attirare la vostra attenzione. Sinceramente vorrei tanto che fosse così, ma non lo è, sto semplicemente riportando ciò che ormai sette scienziati su dieci ammettono pubblicamente senza più riserve: la bomba è innescata! Gli scienziati dichiarano che il calo della biodiversità è un problema ambientale molto più serio del buco dell'ozono, del riscaldamento globale, dell'inquinamento e della contaminazione.
Ma direte voi: cosa c'è di così catastrofico nell'estinzione della tigre di Java, del mango Kalimantan, del delfino del fiume Yangtze, dell'alga rossa di Bennett, del rospo dorato, dell'olivo di Sant'Elena e del lombrico del lago Pedder in Tasmania? Diamo un'occhiata ai dati in nostro possesso e cerchiamo di inquadrarli nella giusta prospettiva: il numero totale di specie di esseri viventi è stimato sui 14 milioni, ogni anno si estinguono circa 70.000 specie, cioè ogni dieci anni scompare il 5% di tutte le specie esistenti, e si prevede che entro la fine di questo secolo la metà delle specie animali superiori sarà scomparsa dalla faccia della Terra. Senza dimenticare che al calo del numero delle specie c'è da aggiungere la diminuzione della diversità genetica fra membri della stessa specie, nonché la riduzione della diversità all'interno di ciascun ecosistema. Questo determinerà uno sconvolgimento del sistema ecologico tale da minacciare l'esistenza stessa degli esseri umani. Ogni specie è interconnessa con le altre in sistemi naturali che danno forma all'atmosfera, al clima e agli elementi fisici: l'uomo non potrebbe esistere senza questa ampia gamma e varietà di vita. Per quanto nella nostra vita quotidiana possiamo esserci allontanati dalla biodiversità “selvaggia”, essa rimane la fonte del nostro cibo e dei nostri medicinali, per non parlare poi dei paesi in via di sviluppo in cui il cibo “selvatico” costituisce un'importante fonte diretta di approvvigionamento alimentare. Sebbene delle 70.000 piante conosciute come commestibili noi mangiamo oggi solo una minima proporzione, la maggior parte delle nostre piante coltivate richiede una costante infusione di geni “selvatici” al fine di mantenere la propria resistenza nei confronti delle specie infestanti che si evolvono in continuazione.
Più precisamente, in che modo la perdita di biodiversità condurrà a questo cataclisma?
- sconvolgendo le catene alimentari e i meccanismi di formazione del suolo
- compromettendo la capacità dell'ambiente di sopportare i disastri naturali e quelli  provocati dall'uomo.
- distruggendo i sistemi naturali di purificazione dell'aria e dell'acqua
- aumentando la probabilità dell'insorgere di nuove malattie e riducendo il potenziale per la scoperta di nuovi medicinali
- favorendo le alluvioni, le siccità ed altri disastri ambientali
- contribuendo sostanzialmente alla degradazione delle economie mondiali ed indebolendo la stabilità politica e sociale

Dando prova di onestà intellettuale, gli scienziati sono arrivati alla conclusione che, a differenza di tutte le estinzioni di massa precedenti, quella attuale è la diretta conseguenza dell'azione dell'uomo, in particolare dell'espansione della popolazione. La causa primaria, infatti, non è lo sfruttamento eccessivo o la caccia, sebbene questi contribuiscano in modo rilevante, bensì la perdita degli habitat naturali, e questa perdita è direttamente proporzionale all'aumento della densità della popolazione umana.
Il nome esatto dell'evento di cui sto parlando è “Estinzione di massa del Quaternario” perché ebbe inizio nell'ultimo stadio del Pleistocene, protraendosi poi per tutto l'Olocene, cioè l'epoca attuale. E' sufficiente avere qualche rudimento di paleoantropologia per accorgersi che l'inizio dell'estinzione coincide col momento in cui i rappresentanti del genere Homo incominciarono ad utilizzare il fuoco per scopo alimentare (all'incirca 200.000 anni fa) e presero al contempo l'appellativo di “Sapiens Sapiens”. E' proprio a partire da questa data, infatti, che la popolazione umana mondiale incomincia il suo lento ma inesorabile incremento, aumentando esponenzialmente da un numero iniziale “fisiologico” di migliaia di individui nel Paleolitico, a milioni di individui già all'inizio del Neolitico, fino ad arrivare ad 1 miliardo di individui all'inizio del XIX secolo e all'aberrante cifra di 7 miliardi dei nostri giorni. Persino la mitologia apporta la testimonianza dello sfortunato evento che 200.000 anni fa innescò questa autodistruzione, definendolo come il passaggio dall'Età dell'Oro all'Età dell'Argento, in cui gli uomini persero la loro nobiltà e le loro virtù.



Molte proposte sono state fatte per arginare la perdita della biodiversità:
- modificare la gestione dell'utilizzo e della copertura delle terre
- padroneggiare l'introduzione e la rimozione delle specie
- selezionare le tecnologie più opportune
- utilizzare metodi alternativi di irrigazione, di fertilizzazione e di difesa dei raccolti
- implementare tecniche agronomiche sostenibili (es. agroforesteria, orticoltura forestale, permacoltura, cippato di ramaglie fresche, orto sinergico...)
- adottare un nuovo stile di consumi adeguato alle risorse disponibili e ai bisogni essenziali
- agire direttamente sul cambiamento climatico
- interferire eventualmente sui meccanismi evolutivi
- rivedere la strutturazione sociale e il comportamento riproduttivo dell'umanità
Ma credo che occorra abbandonare ogni ipocrisia e ammettere che queste contromisure sarebbero utili per imboccare una nuova direzione evolutiva, ma non sarebbero assolutamente sufficienti per stoppare la tendenza e disinnescare la spirale catastrofica. Inutile menare il can per l'aia: l'unica soluzione nel breve termine è la decimazione della popolazione umana, per mezzo di sterilizzazione di almeno il 90% di tutti gli uomini e di tutte le donne della Terra. In passato la sterilizzazione obbligatoria è stata paradossalmente dichiarata un crimine contro l'umanità, ma non senza motivo: infatti veniva praticata nell'ambito di programmi di eugenetica moralmente inaccettabili. E' evidente, tuttavia, che se la scelta delle persone da sterilizzare venisse effettuata in modo totalmente aleatorio ed anonimo, la qualità della vita non verrebbe assolutamente influenzata in senso peggiorativo, anche in considerazione del fatto che il blocco delle tube e la vasectomia non comportano conseguenze post-operatorie degne di nota.
So che è un boccone amaro da ingoiare, ed io stesso posso essere considerato ipocrita a dire cose del genere, in considerazione della mia omosessualità. Penso, tuttavia, che tutti quanti debbano riflettere sul proprio desiderio di avere un figlio, prendendo in considerazione il fatto ormai certo che i suoi discendenti saranno “spacciati” nel giro di poche generazioni, indipendentemente da tutto l'amore e tutto il patrimonio che potremmo trasmettere loro.

Comunque, la drastica riduzione volontaria della natalità deve essere solo il primo passo per il rinnovamento radicale del rapporto tra uomo e natura, e non deve avere come scopo l'auto-annientamento della specie, come invece alcuni "estinzionisti" propugnano. L'uomo non può e non deve decidere dell'esistenza o della scomparsa di nessuna specie vivente, nemmeno della propria: l'unica cosa che può e deve fare è utilizzare al meglio la propria intelligenza, cioè ciò che ha di più specifico, per soddisfare al meglio la finalità per la quale l'intelligenza stessa è stata concepita. Il fatto che questa finalità non sia ancora evidente non giustifica il nichilismo.

Alcune osservazioni sulla “biodiversità alimentare”

Su 7.000 piante conosciute per essere coltivabili, solo 120 sono coltivate al giorno d'oggi. Di queste 120 specie, 95 specie forniscono il 5% di tutto il cibo umano consumato, 21 specie forniscono il 20%, mentre solo 9 specie forniscono ben il 75%. Queste sono le cifre della FAO relative alla "monotonia" dell'agricoltura tradizionale e dell'alimentazione convenzionale. Ma i dati non cambiano di molto per le dietetiche alternative: i vegetariani si ingozzano di soia e seitan, i paleo si ingozzano di carne prodotta a partire da grano, i crudisti si ingozzano di banane e lattuga, gli “integratoristi” si ingozzano di proteine in polvere prodotte con latte vaccino, etc... Forse è l'ora di farsi tutti un esame di coscienza... La maggiorparte delle diete, comprese quelle più "equilibrate" e quelle più "naturali", prevedono l'utilizzo abituale di un numero troppo ristretto di specie vegetali e animali.


Cosa succederà dopo che l'evento di estinzione di massa sarà terminato?
Le estinzioni di massa, uccidendo quantità importanti di creature, spalancano ogni volta nicchie ecologiche alle quali gli organismi sopravvissuti si adattano rapidamente.
Dopo l'ultimo evento di 65 milioni di anni fa, quello che cancellò i dinosauri dalla faccia della Terra, i mammiferi placentati poterono evolvere, diversificarsi e dominare indisturbati.
Tuttavia, quali che siano i “benefici” per la vita sulla Terra nel lungo periodo, non possiamo dimenticare che il nostro futuro immediato è messo a repentaglio dall'attuale estinzione di massa, causata dall'uomo stesso.
A meno che non preferiate sperare che gli alieni vengano a prenderci con le loro astronavi per portarci sul pianeta abitato più vicino al nostro...
PS: Se condividete la mia preoccupazione, diffondete questo articolo il più possibile.

Lista di referenze non esaustiva:
http://atlas.aaas.org/pdf/159-62.pdf
http://www.petermaas.nl/extinct/index.html
http://www.amnh.org/museum/press/feature/biofact.html
http://cmpg.unibe.ch/pdf/pdf_Journal_Club_SS08/07-Hawks_et_al-PNAS.pdf

http://www.vhemt.org/
http://en.wikipedia.org/wiki/File:Extinctions_Africa_Austrailia_NAmerica_Madagascar.gif

3 commenti:

  1. E' da 40 anni ormai che si lanciano allarmi, regolarmente inascoltati. Ora non rimane che prepararsi al peggio, ma probabilmente anche questo non si farà, se non con un nuovo tipo di dittature, quelle di tipo ecologista. L'umanità ha dimostrato di non avere la capacità di affrontare l'emergenza, come un parassita non ha la capacità di fermarsi prima di aver completamente consumato ciò che lo nutre. Ora ci rimane la possibilità di prepararci al peggio, ma temo che nemmeno questa verrà colta. A volte aggrapparsi ad una cieca speranza è il maggior ostacolo alla consapevolezza.

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  2. L'espansione della popolazione potrebbe avere un meccanismo naturale di autoregolazione/compensazione esercitato dall'omosessualità, chissà.

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  3. Hai certamente ragione, ma ci sono altri meccanismi di autoregolazione potenzialmente molto più efficaci che riguardano le pulsioni eterosessuali di accoppiamento. Molti etnologi hanno osservato un tasso di natalità molto più basso del nostro in popolazioni indigene in cui:
    - la struttura sociale propende più verso il matriarcato che verso il patriarcato
    - la poliandria costituisce la norma nelle abitudini sessuali
    In queste ormai rare etnie il tasso di natalità si avvicina molto al livello fisiologico di equilibro con il proprio habitat.

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