lunedì 5 marzo 2012

La dietologia evoluzionistica



Da quando 150 anni fa Charles Darwin svelò i meccanismi della selezione naturale, la speculazione evoluzionistica non ha cessato di allargarsi a macchia d'olio, arrivando ad interessare qualsiasi campo del sapere, e naturalmente anche le scienze dell'alimentazione.
La costatazione più ovvia è stata il fatto che la nostra evoluzione culturale e tecnologica non va di pari passo con la nostra evoluzione anatomica, fisiologica e metabolica: anche un bambino di sei anni potrebbe averne il sospetto, ma è grazie alle conoscenze avanzate della biologia molecolare, e della proteomica in particolare, che si è riusciti a capire il perché. Gli artifici propri dell'intelligenza umana mettono sistematicamente il nostro organismo nella condizione di dover far fronte a molecole di nuova creazione per le quali il nostro genoma non può fornire gli enzimi adatti al fine di digerirle, assimilarle ed eliminarle. Per far fronte a questo compito i meccanismi evolutivi naturali avrebbero dovuto selezionare individui con cambiamenti genetici adeguati alle nuove condizioni. Ma il problema è proprio che la selezione naturale di geni codificanti nuovi enzimi richiede tempi nell'ordine di milioni di anni. L'evoluzione cerebrale dell'uomo, invece, ha avuto un'impennata nel giro di poche migliaia di anni e non c'è stato il tempo materiale per un adeguamento metabolico pienamente funzionale.
Passiamo in rivista i cinque stadi in cui l'Homo Sapiens ha cambiato le proprie abitudini di vita:

  1. 800.000-80.000 anni fa (culture Acheuleana e Mousteriana - Paleolitico inferiore e medio)
    L'uomo arcaico (Antecessor, Cepranensis, Heidelbergensis, Rhodesiensis e Neanderthalensis arcaici) consuma qualsiasi classe di alimenti grezzi (ad eccezione del latte animale) di provenienza esclusivamente selvatica. Produce arnesi primitivi di legno e pietra (clave, bastoni, lance, amigdale, martelline, spaccaossa...). Utilizza sporadicamente il fuoco e probabilmente solo per scopi non alimentari (riscaldamento, protezione dai predatori, vita sociale). La carne consumata proviene in piccola parte dalla caccia ed in gran parte dal furto di resti di animali uccisi da altri predatori. I maschi provvedono agli alimenti animali, le femmine agli alimenti vegetali e quasi tutto il cibo viene riportato al campo base. Seppellisce i propri morti, utilizza linguaggi verbali rudimentali e scolpisce le prime statuine di Veneri.. Vive in Africa, Europa e Asia. Utilizza pellicce per proteggersi dal freddo. I rappresentanti del genere Homo raggiungono il massimo della capacità cranica e della forza muscolare. 
  2. 80.000-11.000 anni fa (Paleolitico superiore)
    L'uomo anatomicamente moderno di origine africana (Sapiens, Cro-Magnon) colonizza tutti i continenti terrestri e si ibrida con altri ominidi contemporanei (Neanderthalensis moderni, Idaltu, Denisova). Utilizza il fuoco per scopi alimentari, probabilmente per cuocere carne e tuberi selvatici, su focolari di pietre o forni di terra. Produce arnesi taglienti molto elaborati in pietra, corna e osso. Lavora le fibre vegetali per produrre indumenti, calzature, reti, trappole, lacci e cesti. I progressi nella lavorazione del legno gli permettono di catturare più animali e di più grandi dimensioni, con canoe, arpioni, ganci e propulsori per lance. Dipinge le pareti delle caverne.
  3. 9.000-3.000 BC (Mesolitico e Neolitico)
    L'uomo apprende le prime tecniche agricole, coltiva alcune specie annuali di granaglie e tuberi in mezzo alle piante selvatiche (agroforestazione, orticoltura forestale) e riproduce per via partenocarpica alcuni alberi da frutto. Utilizza la ruota, l'aratro e la zappa. Addomestica e alleva alcune specie animali, per ottenere carne, latte, yogurt e formaggio. Produce vasellame di terracotta per cuocere, conservare e preparare il cibo. Estrae il sale per condire e conservare il cibo. Costruisce nuovi arnesi per la caccia (frecce, archi, boomerang, asce, reti da circuizione). Produce il veleno per le frecce. Utilizza l'argilla, paglia e legno per costruire abitazioni. Tesse fibre vegetali e animali. Lavora il rame.
  4. 3.000-600 BC (Età del bronzo e Età del ferro)
    L'utilizzo di arnesi di bronzo, ferro e acciaio modifica profondamente le pratiche dell'agricoltura, della caccia, della preparazione alimentare e dello scambio delle merci. L'uomo padroneggia le tecniche della monocoltura, dell'irrigazione organizzata e dell'uso di forza lavoro specializzata. Si estrae l'olio d'oliva, l'olio di palma e si produce il burro. Si sviluppano le civiltà urbane (a cominciare con quella egiziana, mesopotamica e indiana)
  5. dal 600 BC ad oggi (periodo storico)
    Gli artifici e la tecnologia dell'uomo diventano sempre più complessi. La tradizione culinaria si arricchisce sempre di più: il numero delle ricette cresce esponenzialmente (gastronomia) sebbene il numero delle specie viventi diminuisca all'impicchiata (biodiversità). L'uomo acquisisce il dominio totale sulle specie vegetali e animali, e sconvolge tutte le catene trofiche naturali.

Allora come risolvere questo problema? Molti autori hanno cogitato e formulato regimi alimentari speciali nell'intento di colmare (o almeno accorciare) questo divario tra patrimonio genetico e tradizione gastronomica. Qui di seguito faccio un elenco delle cinque metodiche alimentari che io ritengo migliori. Non in assoluto naturalmente, ma sicuramente rispetto all'alimentazione tradizionale e all'alimentazione raccomandata dalla scienza accademica, ed anche rispetto ad altre mode dietetiche che non trovano la necessaria giustificazione nel sapere in campo evoluzionistico, come ad esempio: il fruttarismo, il crudismo vegano, la macrobiotica, la dieta latto-vegetariana cotta, la dieta alcalina, la dieta brethariana, la dieta a zona, la dieta ketogenica, etc...
Queste “top 5” sono classificate in ordine decrescente di “legittimità” scientifica e di difficoltà di applicazione: in effetti le metodiche alimentari che trovano maggiore corrispondenza con le nozioni di biologia evolutiva sono anche quelle che presentano maggiori difficoltà di applicazione, dovute soprattutto al divario con l'ambiente sociale di appartenenza, all'approvvigionamento dei cibi adatti e alla dipendenza fisico-psichica nei confronti dell'alimentazione precedente.

-1) Istintonutrizione di Guy-Claude Burger
(Metodo di rieducazione dell'istinto alimentare)
- esclusione di qualsiasi alimento che abbia raggiunto una temperatura superiore ai 40°C ed inferiore a 0°C
- esclusione di quasiasi denaturazione meccanica (mescolamento, condimento, sovrapposizione, estrazione, triturazione, spremitura, frullatura)
- è necessaria la disponibilità di ogni classe di alimenti, ad esclusione del latte e dei latticini
- preferenza per specie, varietà e razze selvatiche o poco selezionate
- evitare alimenti ottenuti con l'utilizzo di prodotti di sintesi chimica
- l'attrazione olfattiva e il riflesso di salivazione sono gli unici criteri per la scelta dell'alimento da mangiare
- l'alliestesia gustativa e la replezione sono gli unici criteri per determinare la quantità da mangiare
- è essenziale l'approvvigionamento di alimenti di elevata qualità e di ampia diversità

-2) Crudismo non vegano
- tutti gli alimenti sono permessi purché rigorosamente crudi (50°C): frutta fresca, frutta essiccata, ortaggi, verdure, semi, noci, alghe, olive, cocco, avocado, carne, pesce, frutti di mare, uova, miele, polline, etc... (ad eccezione del latte e latticini da evitare anche se crudi)
- sono inclusi: sale, olii spremuti a freddo, spezie, erbe aromatiche, aceto, vino, cacao, stevia, superfoods (acai, maca, chlorella, chia, spirulina...)
- esempi di preparazioni: macedonie senza zucchero, insalate composte, pinzimonio, germogli, frullati verdi, latte di mandorle, salse di noci, centrifugati, succhi d'erba, spremute, gelati senza latte, crackers crudisti essiccati, pane esseno, formaggio di anacardi, carpaccio, tartara, salumi non pastorizzati, pemmican, jerky, maionese non pastorizzata, sashimi, pesce marinato, pesce affumicato a freddo, etc...
- è permessa la congelazione e l'essiccazione al sole

-3) Regime Ipotossico di Jean Seignalet
- include tutti gli alimenti ad esclusione di latte, latticini, frumento, grano duro, mais e qualsiasi prodotto contenente uno di questi alimenti (anche se in piccola quantità)
- utilizzare metodi di cottura dolci che non superano la temperatura di 110°C (bollitura, vapore, bagno-maria)
- gli olii devono essere spremuti a freddo e non devono essere utilizzati durante la cottura, scartare ogni alimento contenente olii raffinati o margarine
- evitare gli alimenti inquinati e scegliere se possibile prodotti biologici
- dare sempre la preferenza agli alimenti crudi
- i prodotti animali non si devono mangiare tutti i giorni
- includere fermenti lattici e integratori di vitamine e minerali

-4) Paleodieta di W. L. Voegtlin, S. Boyd Eaton, M. Konner, L. Cordain
- in prevalenza: carne, frattaglie, pesce, frutti di mare, uova, frutta, noci, verdure, funghi, erbe aromatiche, spezie, miele, germogli.
- fra i prodotti animali sono da preferire le carni grass-fed, la cacciagione e il pesce non allevato.
- esclusi: tutti i cereali, i farinacei, i legumi, i prodotti a base di soia, latte, latticini, zucchero raffinato, sale
- tutti i metodi di cottura sono permessi
- condire solo con olio extravergine d'oliva o olio di colza
- cuocere solo con olio di cocco o strutto
- le proporzioni di lipidi, glucidi e protidi vengono variate in funzione dell'attività fisica individuale e delle prestazioni sportive auspicate.

-5) Dieta dissociata di William Howard Hay
- 1° gruppo: farinacei, pane, pasta, cereali, riso, zucchero, dolciumi, patate, frutta fresca, frutta essiccata, miele, bevande alcoliche, bevande zuccherate, legumi, ortaggi amidacei, castagne...
- 2° gruppo: verdure a foglia, ortaggi a frutto, latticini, uova, noci, noce di cocco, avocado, olive, semi oleosi, soia, condimenti
- 3° gruppo: carne, salumi, pesce e frutti di mare
- i gruppi 1 e 3 non devono essere mai mischiati nello stesso pasto o nella stessa ricetta
- il gruppo 2 può moderatamente essere mischiato con gli altri gruppi
- comporre pasti e ricette col minor numero di alimenti e ingredienti
- far trascorrere almeno 4 ore e mezzo fra un pasto e l'altro
- la regola "no carbs after seven", cioè evitare gli alimenti del primo gruppo a cena


Nonostante la nocività dell'alimentazione tradizionale sia stata ampiamente dimostrata dalla scienza dell'evoluzione, dalla biologia molecolare e dalla genomica, ci sono ancora alcuni rappresentanti dell'establishment accademico, medico e agroalimentare che continuano ad opporsi adducendo motivazioni facilmente invalidabili. Elenco le due principali obiezioni:
  • Il fuoco sarebbe stato utilizzato per scopi alimentari anche nel Paleolitico inferiore. Il maggiore proponente di questa teoria è Richard W. Wrangham che, a partire da un unico ritrovamento di terra bruciata risalente a 1,8 milioni di anni fa (Koobi Fora, Kenia), dichiara che Homo erectus avrebbe utilizzato il fuoco per scopi alimentari in tutto il Paleolitico inferiore. Questa affermazione è disdegnata dalla maggior parte dei paleoantropologi, per i quali i primi segni incontrovertibili di cottura si possono far risalire solo ai Neanderthalensis dell'ultimo periodo glaciale: 80.000-30.000 anni (Gorham Cave, Gibilterra), 80.000-60.000 anni (Shanidar Cave, Kurdistan), 40.000-36.000 anni (Spy, Belgio). C'è da dire, comunque, che Wrangham non è un paleoantropologo, ma un primatologo che ha dedicato tutta la vita ai gorilla: è un acceso sostenitore della dieta vegetariana cotta e ha sempre cercato disperatamente qualsiasi appiglio pur di dimostrare che l'uomo si è evoluto consumando tuberi cotti.
  • Poche migliaia di anni sarebbero state sufficienti per un adeguato adattamento alla cottura, ai cereali cotti, ai latticini e a tutta la recente tradizione culinaria. Questa affermazione si basa su due casi precisi, quello della lattasi e quello dell'amilasi. E' infatti scientificamente provato che le popolazioni umane che hanno una tradizione storica di produzione di latticini abbiano sviluppato geneticamente la capacità di produrre lattasi anche in età adulta. Tutti i mammiferi possono produrre questo enzima per digerire il lattosio del latte materno, ma solo l'uomo continua a consumare latte e latticini dopo il periodo di allattamento. Per l'amilasi salivare, invece, si è scoperto che le popolazioni che tradizionalmente consumano più alimenti amidacei presentano un incremento del numero di geni che codificano questo enzima, il che migliorerebbe presumibilmente la digestione degli amidi. Entrambi questi esempi concernono una mutazione genetica che modifica solo le modalità di utilizzo di enzimi già codificati nel patrimonio genetico umano: per questo motivo non si possono paragonare con l'evoluzione genetica che sarebbe necessaria per un adeguato adattamento ai cibi della tradizione culinaria. Infatti le molecole di nuova formazione che si ingeriscono sistematicamente con i cibi cotti o i latticini (ad esempio l'acrilammide, le amine eterocicliche, le casomorfine bovine, le glicotossine esogene...) richiedono la creazione di enzimi nuovi, per la cui selezione occorrono milioni di anni.
Referenze scientifiche sui tempi necessari per la codifica di nuove proteine:
Molecular clock: proteins that evolve at different at different rates
"L'alimentazione ovvero la terza medicina" del dott. Jean Seignalet
Alcune nozioni di paleoantropologia qui

L'eBook dell'Istintonutrizione è disponibile su Lulu al seguente indirizzo:
 

Include anche la traduzione del libro "Manger Vrai" di Guy-Claude Burger

domenica 19 febbraio 2012

L'unica vera crisi: la sesta estinzione di massa


In questi ultimi anni, l'opinione pubblica è monopolizzata dalla crisi petrolifera e dalla crisi finanziaria, che mettono in serio pericolo la stabilità economica di individui, famiglie e nazioni intere. Queste preoccupazioni mascherano un problema incommensurabilmente più grave che minaccia l'esistenza dell'umanità intera: la sesta estinzione di massa.

L'evoluzione della vita sulla terra è stata costellata fin dall'inizio (circa 4 miliardi di anni fa) da eventi di estinzione di massa. Cinque di questi eventi (chiamati i Big Five) furono particolarmente catastrofici e spazzarono via ogni volta la maggior parte delle specie esistenti. Quando pensiamo alle estinzioni di massa ci viene in mente il meteorite che avrebbe (il condizionale è d'obbligo) fatto estinguere i dinosauri, e immaginiamo che si tratti di eventi repentini e circoscritti. Non è proprio così: queste estinzioni eccezionali avvengono lentamente nell'arco di milioni di anni. Tant'è vero che, se noi ci trovassimo in un periodo di estinzione di massa, avremmo difficoltà a rendercene conto. Ma qui il condizionale posso anche toglierlo poiché è esattamente quello che sta accadendo: l'umanità preferisce adottare la “strategia dello struzzo” piuttosto che ammettere di essere nel bel mezzo della “sesta estinzione di massa”. L'incoscienza e la cecità dell'uomo di fronte al destino che lo aspetta è ancor più vergognosa se si considera che questa estinzione  di massa è considerata la più grande e la più veloce di tutte le estinzioni di massa avvenute nella storia della vita sulla Terra.

A questo punto state pensando che io stia esagerando per attirare la vostra attenzione. Sinceramente vorrei tanto che fosse così, ma non lo è, sto semplicemente riportando ciò che ormai sette scienziati su dieci ammettono pubblicamente senza più riserve: la bomba è innescata! Gli scienziati dichiarano che il calo della biodiversità è un problema ambientale molto più serio del buco dell'ozono, del riscaldamento globale, dell'inquinamento e della contaminazione.
Ma direte voi: cosa c'è di così catastrofico nell'estinzione della tigre di Java, del mango Kalimantan, del delfino del fiume Yangtze, dell'alga rossa di Bennett, del rospo dorato, dell'olivo di Sant'Elena e del lombrico del lago Pedder in Tasmania? Diamo un'occhiata ai dati in nostro possesso e cerchiamo di inquadrarli nella giusta prospettiva: il numero totale di specie di esseri viventi è stimato sui 14 milioni, ogni anno si estinguono circa 70.000 specie, cioè ogni dieci anni scompare il 5% di tutte le specie esistenti, e si prevede che entro la fine di questo secolo la metà delle specie animali superiori sarà scomparsa dalla faccia della Terra. Senza dimenticare che al calo del numero delle specie c'è da aggiungere la diminuzione della diversità genetica fra membri della stessa specie, nonché la riduzione della diversità all'interno di ciascun ecosistema. Questo determinerà uno sconvolgimento del sistema ecologico tale da minacciare l'esistenza stessa degli esseri umani. Ogni specie è interconnessa con le altre in sistemi naturali che danno forma all'atmosfera, al clima e agli elementi fisici: l'uomo non potrebbe esistere senza questa ampia gamma e varietà di vita. Per quanto nella nostra vita quotidiana possiamo esserci allontanati dalla biodiversità “selvaggia”, essa rimane la fonte del nostro cibo e dei nostri medicinali, per non parlare poi dei paesi in via di sviluppo in cui il cibo “selvatico” costituisce un'importante fonte diretta di approvvigionamento alimentare. Sebbene delle 70.000 piante conosciute come commestibili noi mangiamo oggi solo una minima proporzione, la maggior parte delle nostre piante coltivate richiede una costante infusione di geni “selvatici” al fine di mantenere la propria resistenza nei confronti delle specie infestanti che si evolvono in continuazione.
Più precisamente, in che modo la perdita di biodiversità condurrà a questo cataclisma?
- sconvolgendo le catene alimentari e i meccanismi di formazione del suolo
- compromettendo la capacità dell'ambiente di sopportare i disastri naturali e quelli  provocati dall'uomo.
- distruggendo i sistemi naturali di purificazione dell'aria e dell'acqua
- aumentando la probabilità dell'insorgere di nuove malattie e riducendo il potenziale per la scoperta di nuovi medicinali
- favorendo le alluvioni, le siccità ed altri disastri ambientali
- contribuendo sostanzialmente alla degradazione delle economie mondiali ed indebolendo la stabilità politica e sociale

Dando prova di onestà intellettuale, gli scienziati sono arrivati alla conclusione che, a differenza di tutte le estinzioni di massa precedenti, quella attuale è la diretta conseguenza dell'azione dell'uomo, in particolare dell'espansione della popolazione. La causa primaria, infatti, non è lo sfruttamento eccessivo o la caccia, sebbene questi contribuiscano in modo rilevante, bensì la perdita degli habitat naturali, e questa perdita è direttamente proporzionale all'aumento della densità della popolazione umana.
Il nome esatto dell'evento di cui sto parlando è “Estinzione di massa del Quaternario” perché ebbe inizio nell'ultimo stadio del Pleistocene, protraendosi poi per tutto l'Olocene, cioè l'epoca attuale. E' sufficiente avere qualche rudimento di paleoantropologia per accorgersi che l'inizio dell'estinzione coincide col momento in cui i rappresentanti del genere Homo incominciarono ad utilizzare il fuoco per scopo alimentare (all'incirca 200.000 anni fa) e presero al contempo l'appellativo di “Sapiens Sapiens”. E' proprio a partire da questa data, infatti, che la popolazione umana mondiale incomincia il suo lento ma inesorabile incremento, aumentando esponenzialmente da un numero iniziale “fisiologico” di migliaia di individui nel Paleolitico, a milioni di individui già all'inizio del Neolitico, fino ad arrivare ad 1 miliardo di individui all'inizio del XIX secolo e all'aberrante cifra di 7 miliardi dei nostri giorni. Persino la mitologia apporta la testimonianza dello sfortunato evento che 200.000 anni fa innescò questa autodistruzione, definendolo come il passaggio dall'Età dell'Oro all'Età dell'Argento, in cui gli uomini persero la loro nobiltà e le loro virtù.



Molte proposte sono state fatte per arginare la perdita della biodiversità:
- modificare la gestione dell'utilizzo e della copertura delle terre
- padroneggiare l'introduzione e la rimozione delle specie
- selezionare le tecnologie più opportune
- utilizzare metodi alternativi di irrigazione, di fertilizzazione e di difesa dei raccolti
- implementare tecniche agronomiche sostenibili (es. agroforesteria, orticoltura forestale, permacoltura, cippato di ramaglie fresche, orto sinergico...)
- adottare un nuovo stile di consumi adeguato alle risorse disponibili e ai bisogni essenziali
- agire direttamente sul cambiamento climatico
- interferire eventualmente sui meccanismi evolutivi
- rivedere la strutturazione sociale e il comportamento riproduttivo dell'umanità
Ma credo che occorra abbandonare ogni ipocrisia e ammettere che queste contromisure sarebbero utili per imboccare una nuova direzione evolutiva, ma non sarebbero assolutamente sufficienti per stoppare la tendenza e disinnescare la spirale catastrofica. Inutile menare il can per l'aia: l'unica soluzione nel breve termine è la decimazione della popolazione umana, per mezzo di sterilizzazione di almeno il 90% di tutti gli uomini e di tutte le donne della Terra. In passato la sterilizzazione obbligatoria è stata paradossalmente dichiarata un crimine contro l'umanità, ma non senza motivo: infatti veniva praticata nell'ambito di programmi di eugenetica moralmente inaccettabili. E' evidente, tuttavia, che se la scelta delle persone da sterilizzare venisse effettuata in modo totalmente aleatorio ed anonimo, la qualità della vita non verrebbe assolutamente influenzata in senso peggiorativo, anche in considerazione del fatto che il blocco delle tube e la vasectomia non comportano conseguenze post-operatorie degne di nota.
So che è un boccone amaro da ingoiare, ed io stesso posso essere considerato ipocrita a dire cose del genere, in considerazione della mia omosessualità. Penso, tuttavia, che tutti quanti debbano riflettere sul proprio desiderio di avere un figlio, prendendo in considerazione il fatto ormai certo che i suoi discendenti saranno “spacciati” nel giro di poche generazioni, indipendentemente da tutto l'amore e tutto il patrimonio che potremmo trasmettere loro.

Comunque, la drastica riduzione volontaria della natalità deve essere solo il primo passo per il rinnovamento radicale del rapporto tra uomo e natura, e non deve avere come scopo l'auto-annientamento della specie, come invece alcuni "estinzionisti" propugnano. L'uomo non può e non deve decidere dell'esistenza o della scomparsa di nessuna specie vivente, nemmeno della propria: l'unica cosa che può e deve fare è utilizzare al meglio la propria intelligenza, cioè ciò che ha di più specifico, per soddisfare al meglio la finalità per la quale l'intelligenza stessa è stata concepita. Il fatto che questa finalità non sia ancora evidente non giustifica il nichilismo.

Alcune osservazioni sulla “biodiversità alimentare”

Su 7.000 piante conosciute per essere coltivabili, solo 120 sono coltivate al giorno d'oggi. Di queste 120 specie, 95 specie forniscono il 5% di tutto il cibo umano consumato, 21 specie forniscono il 20%, mentre solo 9 specie forniscono ben il 75%. Queste sono le cifre della FAO relative alla "monotonia" dell'agricoltura tradizionale e dell'alimentazione convenzionale. Ma i dati non cambiano di molto per le dietetiche alternative: i vegetariani si ingozzano di soia e seitan, i paleo si ingozzano di carne prodotta a partire da grano, i crudisti si ingozzano di banane e lattuga, gli “integratoristi” si ingozzano di proteine in polvere prodotte con latte vaccino, etc... Forse è l'ora di farsi tutti un esame di coscienza... La maggiorparte delle diete, comprese quelle più "equilibrate" e quelle più "naturali", prevedono l'utilizzo abituale di un numero troppo ristretto di specie vegetali e animali.


Cosa succederà dopo che l'evento di estinzione di massa sarà terminato?
Le estinzioni di massa, uccidendo quantità importanti di creature, spalancano ogni volta nicchie ecologiche alle quali gli organismi sopravvissuti si adattano rapidamente.
Dopo l'ultimo evento di 65 milioni di anni fa, quello che cancellò i dinosauri dalla faccia della Terra, i mammiferi placentati poterono evolvere, diversificarsi e dominare indisturbati.
Tuttavia, quali che siano i “benefici” per la vita sulla Terra nel lungo periodo, non possiamo dimenticare che il nostro futuro immediato è messo a repentaglio dall'attuale estinzione di massa, causata dall'uomo stesso.
A meno che non preferiate sperare che gli alieni vengano a prenderci con le loro astronavi per portarci sul pianeta abitato più vicino al nostro...
PS: Se condividete la mia preoccupazione, diffondete questo articolo il più possibile.

Lista di referenze non esaustiva:
http://atlas.aaas.org/pdf/159-62.pdf
http://www.petermaas.nl/extinct/index.html
http://www.amnh.org/museum/press/feature/biofact.html
http://cmpg.unibe.ch/pdf/pdf_Journal_Club_SS08/07-Hawks_et_al-PNAS.pdf

http://www.vhemt.org/
http://en.wikipedia.org/wiki/File:Extinctions_Africa_Austrailia_NAmerica_Madagascar.gif

venerdì 17 febbraio 2012

Qual è la storia evolutiva dei virus?


I virus hanno un'evoluzione specifica e indipendente da quella degli organismi che infettano?
Secondo il pensiero dominante nella scienza moderna, è ovvio che i virus abbiano un'evoluzione separata, a meno che non si tratti di organismi simbionti, ma in questo caso non si tratterebbe neanche di virus.
In realtà, però, non è così ovvio come si vuole far credere.
La concezione tradizionale si basa sulla definizione del virus come parassita obbligato, che sfrutta la cellula per replicarsi e sintetizzare le proprie proteine. Questa definizione ha un senso solo se si ammette che il virus è un “soggetto” evolutivo.
Come fare per sapere se il virus ha un "impulso" evolutivo proprio, oppure se subisce passivamente l'impulso evolutivo della cellula in cui si moltiplica? In altre parole, il virus è un "soggetto" o un "oggetto" dell'evoluzione?
E qui si aprono alcuni dei più grandi buchi teorici della biologia moderna:
1) i virus sono esseri viventi?
2) le leggi della selezione naturale si applicano anche ai virus?
3) l'evoluzione dei virus precede quella degli organismi cellulari?
Per quanto possa sembrare imbarazzante, le risposte fornite dalla scienza sono elusive, vacillanti e parziali: non sono altro che compromessi teorici per tenere in piedi alla meno peggio l'edificio barcollante della virologia moderna.
In realtà la risposta a queste domande è semplicemente “No”, “No” e ancora “No”.
Secondo la teoria del parassita il virus ha bisogno dell'organismo, ma l'organismo non ha bisogno del virus. Il primo presupposto è certamente vero perché la cellula è l'unico ambiente protetto in cui il virus trova gli aminoacidi e basi azotate necessari per la replicazione del proprio acido nucleico. Il secondo presupposto, invece, è smentito da molto tempo dai risultati di molte ricerche che riguardano soprattutto la capacità del virus di apportare sequenze genomiche utili all'organismo infettato, contribuendo ad accelerarne l'evoluzione (il cosiddetto “trasfermento genico orizzontale”), un modello già accertato nel caso dei batteri, ma facilmente esportabile a tutti gli organismi pluricellulari, uomo compreso (1)(7). Senza dimenticare, inoltre, che la cellula può utilizzare il materiale genetico virale e beneficiarne anche senza integrarlo al proprio DNA (2). Ci sono sempre più motivi per  rimettere in discussione la concezione del virus come essere vivente che ha lo scopo, l'intenzione e la volontà di attaccare e sfruttare gli organismi cellulari (5). E questa concezione rimane altrettanto discutibile anche se invece di parlare di “scopo”, “intenzione” e “volontà” utilizziamo concetti apparentemente più neutri come “caso”, “conseguenza” e “coincidenza”. Fermo restando, comunque, che la potenziale patogenicità dei virus rimane un'evidenza per tutti.
Agli occhi della scienza sembra evidente che il virus abbia il “compito” di replicarsi, ma è più onesto concepire la cosa dal punto di vista totalmente opposto: il virus non "si moltiplica" (soggetto), bensì il virus "viene moltiplicato" (oggetto). Allo stesso modo, si ammette che il virus “si evolve, si adatta” perché i loro acidi nucleici mutano e vengono selezionati, mentre sarebbe più logico dire che il virus “viene fatto evolvere, viene adattato” dall'organismo in cui viene replicato.
Come si vede, è una sottile questione di linguaggio che cambia enormemente le cose, l'ambito semantico influenza direttamente l'ambito scientifico, sebbene sia difficile accorgersene: l'evidenza delle osservazioni e degli studi dipende totalmente dal linguaggio utilizzato (6).
Veniamo alla questione della selezione naturale applicata ai virus: nella classica visione del virus come “soggetto” evolutivo si osserva che il virus replica se stesso, generando copie non identiche a causa di mutazioni accidentali e di fenomeni di trasposizione o di riarrangiamento. I migliori mutanti, a seguito di una diversa disposizione nucleotidica, codificano per molecole nuove: talvolta queste nuove molecole sono svantaggiose per il virus stesso, altre sono neutre, altre ancora lo avvantaggiano, cioè aumentano la capacità del virus di eludere e/o resistere ai meccanismi di difesa dell'organismo infettato, nonché la capacità di riprodursi più velocemente. Si pensa, quindi, che la cellula abbia per il virus lo stesso ruolo che l'ambiente naturale ha per qualsiasi organismo cellulare, cioè il ruolo di porre dei limiti, esercitare uno stress, stimolare la competizione e selezionare le caratteristiche  più adattate. Queste parole descrivono giustamente un fatto oggettivo, ma la descrizione in sé non è assolutamente oggettiva, e questa mancanza di oggettività deriva da una classificazione errata, che nel pensiero di chi osserva precede, e non segue, la descrizione del fatto. Il semplice fatto che i virus presentino mutazioni genetiche da una generazione all'altra e che gli effetti di queste mutazioni sembrino andare nel senso di una selezione, non è sufficiente per affermare che i virus sono esseri viventi che ubbidiscono alle leggi della selezione naturale, cioè che si evolvono in senso darwiniano.
Con un minimo sforzo di onestà intellettuale bisogna ammettere che c'è una differenza abissale fra il dire "un virus ha lo scopo di attaccare una cellula per riprodurre il proprio DNA" e il dire "la cellula sforna un virus con lo scopo di trasmettere un po' di DNA ad un'altra cellula", sebbene queste due osservazioni descrivano esattamente lo stesso fatto, la stessa evidenza. Ed è un abuso continuare a dire che il virus è un "parassita": per essere un parassita bisogna prima essere un essere vivente, e il virus per l'appunto non lo è.
I virus non sono nient'altro che meccanismi di trasmissione di materiale genetico da una cellula all'altra (appartenenti o meno allo stesso organismo), un meccanismo inventato e perfezionato dall'organismo in questione, sia esso monocellulare che multicellulare.
Penso che la maggiore difficoltà che impedisce di rimettere in discussione il modello attuale dei virus derivi dall'influenza della teoria del gradualismo filetico del Neodarwinismo degli anni Trenta e della teoria genocentrica di Richard Dawkins degli anni Settanta, le quali dominano ancora  incontrastate il panorama odierno della biologia e di tutte le scienze correlate.
La teoria del gradualismo filetico, secondo cui i cambiamenti osservabili su grande scala sono sostanzialmente riconducibili all’accumulo di piccole variazioni, è stata smentita dalla teoria degli equilibri punteggiati che, in considerazione della documentazione fossile, constata la stabilità delle specie nel tempo e concepisce le specie come entità biologiche irriducibili, non più arbitrarie, poiché discrete sia nello spazio che nel tempo.
Per quanto riguarda la teoria genocentrica, invece, secondo cui è il gene (non l'individuo) l’unità su cui agisce la selezione e gli organismi non sono altro che intermediari fra i geni e l’ambiente, è stata smentita dalla teoria gerarchica secondo cui la natura manifesta livelli di organizzazione le cui proprietà non possono essere ridotte all’attività dei livelli sottostanti; ciascun livello è sorretto dall’attività del livello sottostante, ma manifesta rispetto a esso delle proprietà nuove.
La scienza è giustamente arrivata alla conclusione che l'unità fondamentale della vita sia l'unione di tre elementi: una membrana lipidica doppio strato, un sistema proteico per il metabolismo e un sistema di trasmissione dell'informazione sotto forma di polimeri nucleotidici (3)(4). E' ormai riconosciuto che i meccanismi evolutivi della selezione naturale operano solamente su esseri che posseggono questi tre elementi. Non è invece il caso del virus che ne contiene solo due.
I paladini della fazione più materialista e riduzionista del razionalismo cartesiano tendono a snobbare queste obiezioni trattandole come questioni astratte di natura semantica e filosofica che non hanno nulla a che fare con la scienza. Questa affermazione è preoccupante perché vuol dire che non si è neanche più capaci di rendersi conto che il linguaggio da noi stessi utilizzato plasma e modella la nostra visione del mondo, a prescindere dall'applicazione dei principi di rigore scientifico. Nessuno di noi è immune da questa influenza, perché è insita nella natura stessa dell'intelligenza concettuale umana. Quindi, credere che frasi come “il virus si evolve”, "il virus attacca la cellula" "il virus ha lo scopo di riprodursi" "il virus è in competizione con il sistema imunitario" siano semanticamente neutre e scientificamente inoppugnabili, è un grosso errore ed un pericoloso abuso: da un punto di vista pratico cambia tutta la visione del funzionamento virale e della sua interazione con l'ospite.


Una descrizione molto più oggettiva del rapporto virus/ospite è stata fornita da Guy-Claude Burger (1)(8), che utilizza l'analogia del plasmide F.

Il Plasmide F è un piccolo filamento circolare di DNA presente nel citoplasma di alcuni batteri (il caso più conosciuto è quello dell'Escherichia Coli) e distinto dal cromosoma batterico. Come tutti i plasmidi, il plasmide F svolge varie funzioni non essenziali, ma conferisce alla cellula proprietà speciali, proprietà metaboliche uniche, ed influisce sulla variabilità genetica avendo la capacità di spostarsi tra cellule (di organismi appartenenti alla stessa specie o a specie diverse). Oltre a tutto ciò, il plasmide F contiene anche il "fattore di fertilità", una sequenza di geni che controlla la produzione dei cosiddetti "pili sessuali": questi sono lunghe strutture proteiche a bastoncino che permettono la coniugazione batterica.
1) un primo batterio dotato di plasmide F "attracca" un batterio privo di plasmide F tramite il pilo sessuale
2) lo attira a sé depolimerizzando il pilo stesso
3) crea un "ponte citoplasmatico", cioè un poro attraverso le membrane cellulari dei due batteri
4) trasferisce una copia del proprio plasmide F al secondo batterio
5) a questo punto il batterio ricevente è diventato anch'esso capace di donare una copia del proprio plasmide F ad un altro batterio che ne sia privo.
Il funzionamento dei plasmidi F è stato equiparato a quello degli episomi e dei genomi virali (sia di cellule procariote che eucariote) in quanto possono avere un ciclo di vita indipendente all'interno della cellula, oppure possono integrarsi nel cromosoma cellulare: in quest'ultimo caso, durante la coniugazione esso può trasferire una porzione di cromosoma da una cellula all'altra, e alla fine della coniugazione avviene una ricombinazione tra il cromosoma della cellula ricevente e le parti del cromosoma della cellula donatrice.
La scienza ufficiale è arrivata addirittura a riconoscere che i plasmidi, gli episomi, i trasposoni e i virus possano avere la stessa origine. (9)
La teoria genocentrica di Richard Dawkins, però, definisce gli episomi e i genomi virali come "DNA egoista" partendo dalla considerazione che essi si diffondono formando copie aggiuntive di se stessi all'interno del genoma e che essi non forniscono alcun contributo specifico al successo risproduttivo dell'organismo ospite.
Guy-Claude Burger, invece, ipotizza che i virus siano stati "inventati" dalle cellule procariote ed eucariote con lo stesso scopo dei plasmidi, cioè il trasferimento genetico orizzontale, come ad esempio il meccanismo che permette ai batteri di adattarsi velocemente agli antibiotici.
Affermare che l'organismo sia "l'ospite" del virus dipende dalla convinzione secondo cui il virus e l'organismo siano due entità vitali di pari livello che intrecciano un rapporto di parassitismo o di simbiosi. Il che non è vero, poiché il virus non è neanche un'entità vitale. Quello che normalmente chiamiamo "ospite", invece, è più oggettivamente un organismo che "produce uno strumento biologico" costituito da materiale genetico in un involucro di proteine ed una membrana lipidica. Questo strumento viene "espulso" nell'ambiente extracellulare ed è "destinato" a viaggiare all'interno dello stesso organismo o nell'ambiente in cui l'organismo vive, "col compito di trasmettere" il materiale genetico in questione ad altre cellule dello stesso organismo o di altri organismi della stessa specie.
Almeno sono certo che questa descrizione è coerente con la definizione di "essere vivente". Le conseguenze sono macroscopiche, perché il modello “infettivo” che normalmente utilizziamo per batteri, miceti e protozoi dovrà essere totalmente modificato per poter essere applicato ai virus. L'infezione virale non rappresenta più una competizione fra due specie in lotta fra loro, bensì un malfunzionamento inerente al meccanismo evolutivo di una singola specie, che “lotta con se stessa”, nell'ignoranza dei meccanismi che hanno portato al malfunzionamento stesso. Viene spontaneo fare un raffronto con il meccanismo patologico autoimmune, in cui gli anticorpi che normalemente ci dovrebbero difendere si rivoltano contro di noi.
Continuando il ragionamento, il paradigma attuale dice che "la patogenicità è il comportamento normale dei virus e il fatto che possano essere innocui o benefici è un'eccezione alla normalità", sebbene le scoperte scientifiche lascino intravedere che la stragrande maggioranza dei virus sono benefici o apparentemente innocui. Secondo il nuovo paradigma, invece, bisognerebbe invertire la convinzione: "l'effetto benefico del virus costituisce il comportamento normale del virus, mentre la patogenicità ne costituisce l'eccezione degenerativa, e l'innocuità è solo apparente".
Ne consegue che, invece di chiedersi "perché quel virus non è patogeno?", ci si dovrebbe chiedere "perché quel virus non è benefico?"
Sia ben chiaro, io non sono negazionista, le malattie virali esistono, i virus stessi esistono e la scienza moderna ha il merito di averli individuati con precisione, ma credo che le basi della virologia abbiano bisogno urgente di  essere riviste e liberate da dogmi e pregiudizi.

PS: visto che ho parlato di teoria genocentrica, devo osservare che lo stesso Richard Dawkins apporta inconsapevolmente una conferma alla critica che io espongo in questo articolo. Ai miei occhi, infatti, la maggior scoperta di Dawkins non è stato il genocentrismo, bensì la teoria antropologica dei memi, che poi è stata ulteriormente sviluppata nell'ambito della memetica. Il meme è definito da Dawkins come una riconoscibile entità di informazione relativa alla cultura umana, che è replicabile da una mente o da un supporto simbolico di memoria, è cioè "un'unità auto-propagantesi" di evoluzione culturale.

Ciò che è interessante è che il meccanismo di diffusione dei memi viene paragonato dallo stesso Dawkins a quello dei virus, in quanto i gruppi di idee si comportano come forme di vita indipendenti e continuano ad essere trasmessi anche a spese dei loro ospiti solo perché sono adatti a venire ritrasmessi. Sebbene questa analogia sia controversa, bisogna ammettere che apre alcuni interessanti interrogativi, uno in particolare: se, a prescindere dal loro destino, tutti i memi traggono la loro origine dall'individuo o da gruppi di individui appartenenti alla specie umana, perché non potrebbe essere il caso anche dei virus? ...meditate gente...

Lista di referenze non esaustiva:
(1) http://www.reocities.com/HotSprings/7627/ggvirus.html
(2) http://books.google.it/books?hl=it&lr&id=liO1NjlewjkC&oi=fnd&pg=PA361&dq=Viruses+as+a+factor+of+evolution%3A+exchange+of+genetic+information+in+the+biosphere&ots=jO_KiablKA&sig=dZsXiT30OdolWOUgIgTESjQ_k3A#v=onepage&q=Viruses%20as%20a%20factor%20of%20evolution%3A%20exchange%20of%20genetic%20information%20in%20the%20biosphere&f=false
(3) http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18160077
(4) http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16547956
(5) http://creation.com/did-god-make-pathogenic-viruses
(6) http://books.google.it/books/about/The_semantics_of_science.html?id=VA3bseUrUJYC&redir_esc=y
(7) http://www.biology-online.org/articles/origin-evolution-viruses-escapeddna-rna/viruses-evolutionary-accelerators.html

(8) http://makeupyourowndamnmind.blogspot.it/2012/01/che-cose-il-metodo-per-la-rieducazione.html
(9) http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9873943
 

martedì 31 gennaio 2012

Che cos'è l'Istintonutrizione?



L'istintonutrizione di Guy-Claude Burger 
L’istintonutrizione è un metodo di alimentazione basato su due principi: il postulato dell’inadattamento genetico agli alimenti non originari e la riattivazione dell’istinto alimentare.

Il patrimonio genetico dell’uomo moderno gli è stato trasmesso di generazione in generazione, insieme a modificazioni che sono dell'ordine dello 0.1% nell’arco di un milione di anni. La genetica umana attuale, quindi, è ancora relativamente vicina a quella dei primati. Ci si dovrebbe chiedere, allora, se l’organismo umano abbia avuto la possibilità di adattarsi alle varie trasformazioni che le sue abitudini alimentari hanno subito nel corso del tempo, o se invece sia ancora adattato alle condizioni di alimentazione primitive.

L’attenta osservazione dei meccanismi del gusto rivela che i sapori degli alimenti cambiano in funzione dei bisogni dell’organismo. Questi cambiamenti sono particolarmente netti con gli alimenti consumati nella forma naturale e rendono possibile il mantenimento di un equilibrio alimentare ottimale. Essi funzionano in modo molto incerto, invece, con gli alimenti trasformati dalle preparazioni culinarie e con tutti gli alimenti che non esistevano nella gamma alimentare primitiva. Questa constatazione ci porta a pensare che i meccanismi gustativi, essenziali per il bilanciamento nutrizionale, non siano ancora adattati geneticamente alle caratteristiche dell’alimentazione tradizionale.

Cinquant’anni di esperimenti hanno permesso di definire un metodo di alimentazione che permette ai meccanismi olfattivi e gustativi di funzionare nelle migliori condizioni. Questi meccanismi, chiamati “alliestesici” (cambiamenti di percezione), insieme con alcune sensazioni che vengono dall’interno, garantiscono la regolazione degli apporti nutritivi e possono essere considerati come manifestazioni di un istinto alimentare ancora presente nell'essere umano. E’ per questo motivo che il metodo è stato chiamato “istintonutrizione”. Grazie ad esso molte persone hanno potuto verificare sulla propria pelle i benefici della regolazione istintiva dei propri menu quotidiani, sia sul piano del piacere che si può sperimentare durante i pasti, sia nei risultati ottenuti sul piano della salute.

Il principio dell’istintonutrizione consiste nel disporre di un assortimento più ampio possibile di alimenti privi di qualsiasi denaturazione, escludendo anche alcuni alimenti naturali che sono stati introdotti nell’alimentazione umana solo recentemente. In tali condizioni, i meccanismi alliestesici associati ai sensi dell’odorato e del gusto, sommati ad alcune sensazioni interne, permettono di riconoscere con esattezza la natura e la quantità degli alimenti capaci di apportare al proprio corpo i nutrimenti e le sostanze vitali necessarie al suo corretto funzionamento. Inoltre, bisogna aggiungere che le molecole naturali vengono utilizzate dall’organismo con molta più sicurezza rispetto alle molecole denaturate degli alimenti trasformati o alle molecole di sintesi dell’industria chimica e farmaceutica.

In questo senso, l’istintonutrizione permette di favorire i processi vitali in un modo particolarmente efficace, e questo si manifesta con notevoli miglioramenti delle condizioni generali e con remissioni parziali o totali di molte malattie, a volte anche di quelle considerate incurabili. Questa efficacia si estende non solo alle malattie di cui è riconosciuto il legame con le abitudini alimentari (in quanto vengono soppresse le cause), ma in certa misura anche alle malattie di origine genetica o di altro tipo. In tutti i casi, l’interruzione dell’introduzione quotidiana di sostanze nocive di origine culinaria, congiunta all’apporto di utili sostanze naturali di cui l’organismo può essere stato carente fino a quel momento, garantisce il risveglio delle difese immunitarie nonché il loro funzionamento ottimale. In questo modo, il massimo potenziale dell’organismo viene utilizzato allo scopo di eliminare le “tossine” accumulatesi per effetto dell’alimentazione convenzionale e di sostituire le cellule invecchiate con cellule nuove. I risultati che si possono ottenere permettono di considerare questo metodo alimentare come un vero e proprio mezzo terapeutico, sebbene esso non poggi su alcuna diagnosi, né su alcuna teoria, né tanto meno su una tradizione.
L’istintonutrizione è la prima dietetica che permette di evitare il passaggio obbligato attraverso la diagnosi e la prescrizione, elemento comune di tutte le forme di terapia. Essa permette di scoprire da soli la cura naturale migliore specifica per ogni malattia, addirittura in fase di gestazione, ancor prima che i suoi sintomi si evidenzino. Si possono evitare in questo modo gli errori che sono sempre in agguato quando viene stabilita una prescrizione o viene somministrato un trattamento.

E’ difficile comprendere il carattere universale di una terapia spontanea così semplice, se non si tiene conto dell’antichità dell’istinto alimentare. Esso risale alle origini stesse del fenomeno della vita e della nutrizione. La vita è fatta di scambi, e uno degli scambi più importanti è la ricerca di energia e di elementi costituenti. Al fine di garantire le migliori condizioni di sopravvivenza, questi scambi furono regolati fin dall’origine da precisi meccanismi, i quali non poterono far altro che perfezionarsi nel corso di miliardi di anni di evoluzione, fino a raggiungere la loro forma più perfetta negli animali superiori. L’istinto alimentare sviluppato in questo modo, ha potuto trarre beneficio da una somma considerevole di esperienze di vita, le quali si sono accumulate nella memoria genetica, e lo rendono in grado di risolvere praticamente tutti i problemi che un organismo potrebbe incontrare.

L’istinto si manifesta attraverso attrazioni e repulsioni a livello degli organi di senso, cioè tramite sensazioni di piacere e di dispiacere. Un prodotto naturale che provoca un dispiacere deve essere messo da parte; quelli che devono essere consumati, invece, sono proprio quelli che provocano un piacere. Più il piacere è intenso, più importante è il bisogno corrispondente a quell’alimento, e gli alimenti più importanti sono quelli che apportano al consumatore le sostanze più preziose per la sua salute. In questo modo, il piacere si propone come il cammino più breve e sicuro verso la salute. Possiamo, quindi, affermare che l’istintonutrizione ripristina le fondamentali leggi di armonia che sono alla base del mistero stesso della vita.


L'eBook dell'Istintonutrizione è disponibile su Lulu al seguente indirizzo:
 

Include anche la traduzione del libro "Manger Vrai" di Guy-Claude Burger
 

sabato 31 dicembre 2011

Le Asteracee: m'ama o non m'ama? ... io certamente le amo!




I botanici non sono ancora riusciti a determinare quale sia la famiglia di piante più numerosa: il primato è conteso fra la famiglia delle orchidee e quella delle Asteracee (nuovo nome delle Composite).
Ma sul piano pratico non è difficile decidere quale fra le due sia più importante per l'alimentazione umana: le orchidee saranno anche incantevoli, ma le asteracee ci forniscono molti alimenti di base per la nostra nutrizione, e sono particolarmente apprezzate dal nostro istinto.
Pensate che esiste addirittura una scienza che si occupa esclusivamente di queste piante: la sinanterologia.
Tra le 23 mila specie di questa famiglia, quali piante ci interessano particolarmente?
  • il genere Cichorium, comprendente l'indivia belga (chiamata anche cicoria di Bruxelles o Witloof), l'indivia scarola, l'indivia riccia, il radicchio (le varietà bianche o variegate sono più dolci di quelle rosse), il pan di zucchero e le puntarelle di cicoria
  • la lattuga, in tutte le sue varietà, la cappuccina (chiamata spesso Trocadero), la romana (con lunghe foglie), la gentilina (chiamata anche crespa o Batavia o Canasta o Meraviglia), la Iceberg (chiamata anche brasiliana), la rossa, la riccia, la Lollo, la Foglia di quercia e il lattughino biondo
  • altre piante dal sapore forte, il tarassaco (conosciuta anche come Dente di leone o Soffione), il crespigno, la cicerbita, il cardo e il dragoncello (o estragone, une erba aromatica tanto amata in Francia)
  • i tuberi, quali il topinambur (le varietà bianca e rossa sono molto diverse tra loro), lo yacon (di origine sudamericana, così dolce e succoso da essere chiamato anche “pera di terra”), e le radici amare (scorzonera, barba di becco, radice di tarassaco e di cicoria)
  • i fiori, perché naturalmente il carciofo è un fiore, e bisogna ammettere che la varietà romanesca (quella grande, la cosiddetta “mammola”) è più appetibile delle altre varietà (violetto, spinoso, romagnolo)
  • il girasole, i cui semi si possono mangiare sia secchi che germogliati, ne esistono due varietà, quella a seme piccolo e quella a seme grande
  • le piante officinali, ne elenco solo alcune perché sono infinite: calendula, centaurea minore, balsamita/erba di San Pietro, tanaceto/partenio, artemisia volgare, santolina, crescione del Parà, abrotano, camomilla comune, camomilla romana, bardana, cardo mariano, farfara, achillea millefoglie, elicrisio italiano, arnica, assenzio, enula campana, cardo santo, echinacea, pilosella, tossilaggine, verga d'oro.

Cosa hanno in comune queste piante? Quali effetti hanno sulla nostra fisiologia? Sono antispasmodiche, stimolano la digestione, contrastano la ritenzione idrica e facilitano la funzione epatico-biliare.

Qualche notizia importante:
  • le radici e i fiori delle asteracee (topinambur, yacon, carciofo...) sono tra le rare fonti di inulina, un polisaccaride importantissimo per la nostra salute.
    I topinambur e i carciofi devono essere assolutamente conservati in frigorifero, e per un consumo al naturale vi consiglio di farli invecchiare un po' perché diventano più dolci.
  • a questa famiglia appartengono moltissime piante ornamentali dai fiori bellissimi: dalia, margherita, gerbera, crisantemo, tagetes, astro, stella alpina, cardo, zinnia, cineraria, fiordaliso
  • la prossima volta che fate un picnic su un bel prato costellato di margheritine (le cosiddette pratoline) provate ad assaggiarne i fiori: sono perfettamente commestibili.
  • in inverno, quando non c'è molta disponibilità di frutta, le indivie e le lattughe possono costituire una fonte primaria di glucidi, ce ne sono di dolcissime! Mangiatele al naturale, hanno un elevato potere saziante. Siate selettivi nella scelta al momento dell'acquisto, perché alcune varietà sono molto più appetibili rispetto ad altre. Un accorgimento: evitate che le indivie prendano la luce, poiché le rende amare!
  • la varietà coltivata di tarassaco è incredibilmente dolce e saporita, ma purtroppo molto difficile da trovare in commercio. Se avete un orto vi consiglio di cercare i semi, piantarla e imparare la tecnica dello sbianchimento.
    E' anche possibile coltivare lo yacon (Smallanthus sonchifolius), è necessario procurarsi i rizomi della pianta (che non sono i tuberi!), piantarli in un clima in cui la temperatura invernale non scenda mai sotto zero, e fornire molta acqua: ne vale la pena.
  • mangiare un carciofo al naturale è un'impresa che può risultare difficile al principiante. La parte buona è solo il fondo del carciofo, cioè il cuore bianco. Ci sono due tecniche: o si taglia tutto facendo rimanere solo il fondo, oppure si stacca un petalo alla volta e si raschia con i denti la parte bianca di ciascun petalo.
  • Provate a far germogliare i semi di girasole: potreste rimanere piacevolmente sorpresi dal loro sapore oleoso, croccante e speziato. Utilizzate semi già sgusciati, possibilmente la varietà grande, e al momento dell'acquisto fate attenzione che non ci siano troppi semi spezzati o sbriciolati, perché ovviamente non germoglieranno, ma marciranno e pregiudicheranno la riuscita della preparazione. Mettete a bagno i semi per 24 ore, poi scolateli e lasciateli germogliare all'interno di una semplice insalatiera, o qualsiasi altro contenitore di grandi dimensioni, poiché i semi aumenteranno di volume fino a 10 volte durante la germogliazione. Una volta al giorno, sciacquate i semi per pulirli ed idratarli, con molta delicatezza facendo attenzione a non rompere i germogli. Coprire l'insalatiera con un piattino affinché l'umidità venga trattenuta. Potete cominciare ad assaggiare i vostri germogli quando hanno raggiunto la lunghezza di un centimetro, ma saranno commestibili anche quando le prime due foglie saranno totalamente sviluppate (vedi foto in alto). Quando avete ottenuto la lunghezza desiderata, ponete l'insalatiera in frigo, i germogli smetteranno di crescere e si preserveranno anche per una decina di giorni. Il segreto per ottenere germogli dal gusto dolce è porre l'insalatiera in un ambiente buio, come una credenza chiusa ad esempio.
  • Infine ricordiamo i mieli prodotti a partire dalle asteracee: quello di girasole, che consiglio di comprare solo in versione biologica, e quello di tarassaco, una rarità dal sapore originale.

giovedì 29 dicembre 2011

L'Istintonutrizione - a cura di Fausto Levantesi

L'eBook dell'Istintonutrizione è disponibile su Lulu al seguente indirizzo:
 

Include anche la traduzione del libro "Manger Vrai" di Guy-Claude Burger

mercoledì 28 dicembre 2011

L'Istintonutrizione - a cura di Fausto Levantesi


L'eBook dell'Istintonutrizione è disponibile su Lulu al seguente indirizzo:
 

Include anche la traduzione del libro "Manger Vrai" di Guy-Claude Burger