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sabato 24 ottobre 2009

Frutti grassi ... o grassi fruttuosi?


Spesso alcune fonti preziose di nutrienti essenziali non vengono prese in considerazione soltanto perché non sono conosciute. Quel è il frutto con la polpa più grassa?: il Dacryodes Edulis. Questo frutto è chiamato "safou" in francese e "african pear" in inglese, cresce nell'Africa sub-sahariana e, se siete interessati ad assaggiarlo, lo potete trovare nei negozi di alimentazione per immigrati africani oppure lo potete ordinare per corrispondenza.
Ecco il contenuto totale di lipidi per 100 grammi di polpa cruda fresca (esso varia in funzione della varietà, della maturazione e del metodo di analisi):
- Avocado: da 14,7 a 23,5 grammi
- Dacryodes Edulis: da 29,4 a 55,0 grammi
- Oliva: da 6,9 a 30,0 grammi
- Durian: da 3,5 a 7,3 grammi
Questi sono i frutti oleosi più apprezzati allo stato crudo, ma a dire il vero c'è un altro frutto che li batte tutti: la drupa della palma da olio (Elaeis Guineensis - vedi foto) la cui polpa può contenere da 30,0 a 70,0 grammi di lipidi. Ma avendo un gusto molto forte ed una consistenza molto fibrosa, allo stato crudo se ne riescono a mangiare solo piccole quantità.
Ci sono molti pregiudizi sui lipidi, a cominciare dal modo in cui li chiamiamo abitualmente: "i grassi". Già semplicemente a sentire questa parola, abbiamo voglia di stare alla larga; se poi sentiamo anche parole come "trigliceridi", "colesterolo", "grassi saturi" allora ce la diamo proprio a gambe levate! Questa "isteria" di massa stride con due osservazioni che si potrebbero fare: la prima è storica, perché durante tutta la storia dell'umanità (fino al secondo dopoguerra), ed in tutte le civiltà, i cibi grassi non solo non erano evitati, ma anzi erano considerati i cibi migliori, quelli più pregiati e più apprezzati; la seconda osservazione è istintiva, perché c'è poco da fare, l'istinto alimentare ci attira spesso e volentieri verso i cibi che contengono più grassi.
E qui sorgono i sensi di colpa, perché sappiamo benissimo che nell'ambito dell'alimentazione tradizionale, se ci abbandoniamo al richiamo dei cibi grassi lo paghiamo con la nostra salute e col nostro peso-forma. Come mai questo paradosso? Perché l'istinto ci attira verso cibi che ci fanno male?
L'ipotesi che vi propongo è che l'istinto alimentare venga "ingannato" dal tipo di alimento che gli viene proposto, non tanto dall'alimento in sé, quanto dalla lavorazione alla quale è stato sottoposto.
Per esserne certi non c'è che un modo: eliminare tutte le lavorazioni, tutte le trasformazioni con cui l'uomo è capace di denaturare il proprio cibo, e vedere se l'istinto si mette a funzionare nel modo più ottimale.
I frutti di cui parlo in questo articolo, ad esempio, possono essere a tutti gli effetti considerati cibi grassi (sono infatti chiamati frutti oleosi): provate a mangiarli al naturale, cioè come la natura ce li offre, senza condirli, senza farne insalate, senza schiacciarli e senza cuocerli, avendo cura di scegliere frutti colti a maturità avanzata, cioè quando il loro contenuto lipidico è il più elevato ed il gusto ancora migliore.
Solo in questo modo non solo possiamo sbarazzarci di quel senso di colpa che ci assale quando ci viene la voglia di cibi grassi, ma avremo anche la confortante sicurezza di fornire all'organismo ciò di cui ha più bisogno. Anche la scienza ha ormai sottolineato l'importanza dei lipidi nella nostra alimentazione: il nostro cervello, i nostri nervi, nonché la membrana di tutte le nostre cellule e degli organelli intracellulari, sono composti prevalentemente da lipidi. Per non parlare del fatto che essi svolgono anche molti altri ruoli altrettanto insostituibili nel nostro corpo: neurotrasmettitori, ormoni, acidi biliari, ecc...
Quando pensiamo alla categoria dei grassi ci vengono in mente solo sostanze untuose e oleose, i cosiddetti acidi grassi, e invece gli alimenti naturali non lavorati contengono anche molti altri tipi di lipidi e sostanze liposolubili, altrettanto indispensabili per il funzionamento del nostro corpo: i fitosteroli (come il betasitosterolo), le vitamine (A, D, E, K), i pigmenti (come la clorofilla), i carotenoidi (come la luteina e il licopene), i fosfolipidi (come la lecitina), i glicolipidi, le cere, i terpeni e terpenoidi, e i composti organosolforati.
Un altro motivo per non denaturare i cibi grassi è la questione della lipasi: questo enzima contenuto naturalmente in tutti gli alimenti grassi è, a quanto pare, molto utile al nostro metabolismo. Il problema è che la lipasi, a causa della sua doppia affinità acqua-grasso, viene totalmente disattivata nel momento in cui la frazione acquosa e la frazione lipidica dell'alimento vengono separate: questo succede immancabilmente ogni qual volta l'alimento viene sottoposto ad un qualsiasi procedimento termico o meccanico (cottura, estrazione, raffinazione, ecc...).
C'è da riconoscere che la scienza moderna sta facendo passi da gigante per contribuire a sfatare i miti e i luoghi comuni, che però bisogna aggiungere essa stessa aveva creato. Speriamo che l'attenzione data recentemente agli omega 3 e al CLA (acido linoleico coniugato), ad esempio, serva almeno a fare capire alla gente che gli alimenti grassi non sono tutti uguali, e che anzi ci sono differenze abissali.

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