Finché si parla di animali, la definizione di alimentazione naturale deriva semplicemente dall'osservazione: camuffatevi da etologi o da ornitologi, e andate a vedere nella natura selvaggia come si nutrono le varie specie animali, terrestri o marine o aeree che siano.
Approfittatene per fare una vacanza lontano dalla città e per prendere un po' d'aria buona, ma mi raccomando di stare lontani dalle campagne impestate dai pesticidi, dagli scarichi industriali e dagli odori di porcilaia. Dalle vostre osservazioni trarrete subito una convinzione che spesso tende ad essere dimenticata: gli animali non praticano né la cucina né l'agricoltura.
Stando a ciò che dice la scienza, la rivoluzione agricola, cioè il momento in cui l'uomo ha incominciato ad aggredire l'ambiente, risalirebbe al neolitico, cioè a circa diecimila anni fa. La pratica dell'allevamento risalirebbe, invece, a circa ottomila anni fa, inizialmente con capre e pecore, e successivamente (mille anni dopo) con la vacche, le quali pare siano state un po' più ricalcitranti.
Ormai da molto tempo, c'è unanimità nel dichiarare che le tecniche agricole sono caratteristiche dell'homo sapiens. L'animale non dispone dell'intelligenza necessaria per inventare la zappa o la falce, né per rinchiudere le altre specie animali con palizzate e filo spinato. Ma siamo proprio sicuri che si tratti di un monopolio?
Le formiche, per esempio, si dedicano all'allevamento degli afidi: li proteggono contro i predatori e prodigano loro sapienti carezze, per fare in modo che il loro addome si contragga di piacere e fornisca una deiezione zuccherina e cristallina, fonte non indifferente di calorie. Certe formiche tropicali, invece, più propense per i lavori agricoli, praticano la coltivazione dei funghi: portano a casa degli scarti vegetali e li lasciano pazientemente compostare, fino a che non si sviluppano alcune muffe molto nutrienti. Sembra che le loro ninfe ne siano ghiotte.
Da un punto di vista "scatologico", tutte le specie animali fruttariane praticano una forma arcaica di agricoltura: esse consumano frutti i cui semi resistono in parte ai succhi digestivi e vengono in seguito disseminati dappertutto, beneficiando allo stesso tempo di un apporto istantaneo di letame! E' così che questi ingegnosi animali adattano l'ambiente naturale ai propri gusti alimentari, moltiplicando senza possibilità di errore le piante con i frutti più gustosi.
L'allevamento e l'agricoltura non sono quindi invenzioni tanto specifiche dell'uomo quanto si vorrebbe credere. Cos'altro avrebbero fatto i nostri primi antenati contadini se non moltiplicare i cereali e i tuberi che da poco tempo costituivano il loro nutrimento, e adattare l'ambiente naturale ai loro nuovi gusti alimentari. Questi nuovi allevatori, agli afidi preferirono le capre e le vacche, che indubbiamente avevano una dimensione più adeguata, ma il principio è lo stesso, ad eccezione del fatto che il liquido consumato era il secreto delle mammelle e non le deiezioni.
E' uno sbaglio quindi accusare l'agricoltura e l'allevamento di essere contro natura: ne esistono infatti le premesse nel mondo animale. Anche se, però, è triste vedere dal finestrino dell'aereo una arida campagna fatta di interminabili appezzamenti quadrettati multicolori, ed è ancora più triste sapere che questa stessa campagna è destinata prima o poi a diventare deserto, il quale ogni giorno rosicchia sempre più terra arabile. Penso che questo paradosso meriti una riflessione più ampia.
Che cos'è l'arte culinaria? La cucina si è evoluta anch'essa a partire dal neolitico, con l'invenzione del vasellame e con la diffusione del forno per la panificazione. Già prima di questo, comunque, era possibile cuocere dei liquidi, per esempio utilizzando una pelle di animale tesa fra due bastoni: dato che con l'ebollizione la temperatura resta inferiore ai cento gradi, una buona pelle resisteva giusto il tempo di cuocere una zuppa, conferendole per di più un buon sapore di brodo di carne. Ricordatevene la prossima volta che farete una vacanza in tenda e avrete magari dimenticato le pentole a casa!
Il vasellame, però, facilitò tutta una serie di operazioni caratteristiche dell'arte culinaria: la cottura in umido, la conservazione del vino e dell'olio, la preparazione delle insalate e tutto quello che i nostri antenati cuochi seppero inventare in seguito per il piacere delle papille gustative. Successivamente, con l'era del ferro, le pentole e le padelle facilitarono ancora di più il lavoro delle massaie. Si è quindi passati dalla semplice carne arrosto, senza neanche il sale, ad un mare di ricette sempre più sofisticate, fino ad arrivare alla gastronomia elaborata odierna, come la vediamo oggi ad esempio negli innumerevoli programmi di cucina alla televisione.
La scoperta del forno per la panificazione svolse certamente un ruolo importante nell'elaborazione delle nuove abitudini alimentari. Senza di esso, i nostri antenati non avrebbero mai potuto consumare le stesse quantità di grano. Provate a sgranocchiare dei chicchi di grano crudi: riuscirete a mangiarne una quantità piccolissima e, a meno che non abbiate nient'altro da mangiare, non vi verrebbe mai in mente di farne la base della vostra alimentazione. Senza la cottura e la molitura, solo degli uomini masochisti avrebbero dimostrato interesse per i doni della dea Demetra! Mentre invece l'odore del buon pane appena sfornato risulta affascinante anche per i palati più esigenti.
Ma poniamoci questa domanda: è possibile trovare, da qualche parte nel mondo selvatico, almeno un principio nutrizionale capace di dimostrare che il consumo del pane è una cosa naturale per l'uomo? Esiste lo studio dell'usura dei molari dei resti ossei degli uomini preistorici, il quale ci porta a pensare che all'inizio del quaternario certi ominidi consumavano già discrete quantità di semi. Sarebbe allora forse legittimo dedurre che il consumo quotidiano di prodotti cerealicoli, così profondamente radicato nelle nostre abitudini, corrisponde a reali bisogni del nostro metabolismo?
Anche supponendo che il granivorismo sia vecchio tanto quanto il genoma dei primati, bisognerebbe ancora fare una distinzione tra il consumo di semi allo stato naturale, da cui deriverebbe l'usura dei molari dei nostri antenati, e la facile ingestione di amidacei macinati, impastati e cotti. Nessuno potrebbe affermare che l'effetto sia lo stesso.
E che dire dei procedimenti industriali che da alcune generazioni hanno rivoluzionato le abitudini alimentari: lo zucchero raffinato, le farine abburattate, gli oli estratti ad alta temperatura... la lista è interminabile.
Lo zucchero grezzo, ad esempio, è più naturale dello zucchero bianco raffinato con il blu di metilene. Ma possiamo forse dire che è naturale zuccherare gli alimenti? Nessun primate dolcifica i frutti che raccoglie in natura. E allo stesso modo si pensa che il pane integrale sia meno artificiale del pane bianco. Ma possiamo forse dire che è naturale per l'uomo consumare pane e fare dei cereali la base della propria alimentazione?
Molti ricercatori hanno osservato che a questi prodotti raffinati sono associate molte patologie, a cominciare dalle carie. Bisogna rendere onore a questi coraggiosi riformatori che ci hanno messo in guardia contro le aberrazioni dell'industria alimentare, in un epoca in cui essa era considerata uno dei gioielli del progresso. Tuttavia, numerose malattie esistevano già molto prima dell'era industriale, compresa la carie, sebbene con minore incidenza. Questi procedimenti non ne sono, quindi, la causa primaria, ma solo dei fattori aggravanti. Infatti, non basta rinunciare alle produzioni industriali per ritrovare i criteri di un'alimentazione naturale.
L'essenziale non sta nei modi sempre più elaborati utilizzati dagli industriali dell'alimentazione per sfruttare gli appetiti dei consumatori. Essenziale è invece risalire alle prime derive che si sono realizzate nel corso della preistoria e che hanno segnato la rottura con quella che potrebbe essere definita l'alimentazione "originaria" dell'essere umano. Se vogliamo risolvere il problema fino in fondo e capire i meccanismi dell'evoluzione che ha portato alla nostra arte culinaria, dobbiamo risalire alla radice.
Esiste, tuttavia, un'ipotesi che non possiamo scartare a priori e che è considerata da molti teorici e filosofi come irrefragabile: quella che non esisterebbe un'alimentazione che si potrebbe definire "naturale" per un bipedie dotato di cognizione qual è l'uomo. L'uomo è un animale culturale ...ed anche la donna che gli fa da mangiare... La categoria del naturale potrebbe essere vuota di significato poiché è la natura stessa ad averci dotato di un cervello capace di tutti i tipi di artifici.
Quando si tratta del koala, il problema è facile da risolvere: questo adorabile marsupiale mangia foglie di eucalipto, tante foglie di eucalipto, nient'altro che foglie di eucalipto, fin da quando si è istallato nelle foreste australiane milioni di anni fa. Per questo siamo in grado di affermare che le foglie di eucalipto costituiscono la sua alimentazione "naturale", o "originaria", e nessun lessicologo puntiglioso potrebbe contraddirci.
Ma quando si tratta dell'homo sapiens, dotato di una scatola cranica rimaneggiata ed ingrandita dalla natura, che gli permette da tempi immemorabili di modificare il proprio ambiente in funzione delle proprie voglie, delle proprie fantasie, della propria cultura, allora definire l'alimentazione naturale potrebbe non avere più alcun senso. Essendo stati dotati dalla natura di funzioni cognitive che ci permettono di coltivare patate e di immergerle nell'olio bollente, noi avremmo il diritto di considerare le patate fritte come un dono della stessa natura.
Questo ragionamento presenta un vantaggio non indifferente: giustifica a priori tutti i fronzoli gastronomici che apportano soddisfazione alla nostra golosità. Ma purtroppo non resiste alla critica. Per invalidarlo basta una semplice dimostrazione per assurdo: l'intelligenza ci ha permesso di inventare la bomba atomica. Quindi Hiroshima sarebbe un dono della natura?
E' grazie all'intelligenza che siamo in grado di estrarre l'oppio dal papavero, un fiore molto "naturale", e fabbricare l'eroina. Tutti sappiamo che l'eroina è nociva per la salute fisica e mentale, cioè è incompatibile col funzionamento del nostro organismo. Nonostante ciò dobbiamo forse considerarla naturale?
Stesso ragionamento per quanto riguarda l'alimentazione. E' stata l'intelligenza, ricevuta dalla natura, a permetterci di inventare la padella per friggere. Ebbene, la scienza ha dimostrato da molto tempo che la frittura è nociva per le arterie e che, a meno che qualcuno non dimostri il contrario, non esistono cibi fritti nella foresta primitiva. Dobbiamo forse rassegnarci ad inserire le fritture nella lista degli alimenti naturali?
E ancora: l'homo sapiens è il primo discendente dei primati ad essere in grado di allevare mucche e fabbricare formaggi: nessuno ha mai visto un gorilla, e neanche un bonobo, mungere una bufala o cagliare il latte. Eppure, si dice convenzionalmente che un buon formaggio, di fabbricazione artigianale, sia qualcosa di naturale.
Il limite tra il naturale e l'artificiale non è facile da tracciare. Il concetto di "natura" è stato pasticciato e svilito in tutti i modi possibili e immaginabili. Dove finisce la natura e comincia l'artificio? Dove finisce il benefico e comincia il nocivo? Dobbiamo forse rinunciare a poter definire l'alimentazione "naturale" per l'uomo?
Include anche la traduzione del libro "Manger Vrai" di Guy-Claude Burger
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Ragazzo mi piace il tuo scrivere :))
RispondiEliminaGrazie, peccato che ancora siete molto pochi a conoscere questo blog!
RispondiEliminaQuali argomenti ti piacciono di più?
Dove finisce la natura e comincia l'artificio?
RispondiEliminaImmaginati di essere in un mondo dove non esiste nulla di moderno e che non conosci l'arte della cucina: devi procacciarti il cibo con le tue manine perche' non conosci le armi. Hai a disposizione un vasto frutteto, un sacco di animali che non ti sono amici, un sacco di erbe mediche, un sacco di funghi e radici varie. Ebbene che cosa puoi mangiare con poca fatica ed e' dolce?
Purtroppo l'uomo ha deviato dalla sua natura ed ha cominciato a mangiare cose innaturali per la propria specie. Innaturale in questo caso non indica che l'animale non fa parte della natura, ma implica che l'animale non fa' parte della dieta naturale di un frugivoro.